I maestri spirituali affermano da sempre che “la potenza del pensiero muta la propria vita”.
“L’uomo semina un pensiero e raccoglie un’azione; semina un’azione e raccoglie un’abitudine; semina un’abitudine e raccoglie un carattere; semina un carattere e raccoglie un destino”.
Lo Yoga insegna a liberarsi dai condizionamenti della mente affinché le scelte soggettive siano lucide e consapevoli.
La coscienza (citta, in sanscrito) può essere sorgente di libertà, ma nel caso sia troppo influenzata dalla mente(manas) può divenire fonte di grande schiavitù.
Patanjali, negli Yoga Sutra, sostiene che lo Yoga è la sospensione delle attività mentali: “Citta vritti nirodha”(Yoga surtra 1,2), e quindi sottintende che attraverso le varie pratiche dovremmo porci in una condizione nella quale la coscienza riduce l’invadenza del processo mentale che serve solo al sostentamento dell’ego.
Citta è la coscienza non solo mentale e intellettuale, ma anche emozionale.
La parola è formata dalla radice del verbo cit=eccitare, stimolare, illuminare o rendere consapevole, e dal suffisso -ta, quindi il suo significato letterale è ciò che eccita, ciò che illumina, ciò che rende conscio.
Citta corrisponde all’inconscio della psicologia moderna, che riceve ed accumula sensazioni derivanti dal rapporto col mondo esterno. Oltre alla funzione passiva e ricettiva, quando citta è colpita da stimoli provenienti dall’esterno, svolge una funzione attiva, fatta di reazioni istintive, le emozioni.
Nel sistema di Patanjali la mente è paragonata ad un lago.
Come una massa d’acqua, essa è potenzialmente calma e trasparente, ma i pensieri, i “mutamenti della mente”, la stimolano all’attività e ne confondono la vera natura.
Questi pensieri e modificazioni sono chiamate vritti e sono paragonabili ad onde.
Possono scaturire dal fondo del lago (ricordi), o come effetti di agenti esterni (percezioni dei sensi). Quando le onde si calmano, l’acqua torna limpida, e si può guardare fino agli strati più profondi. Se questo processo di calma e rilassamento è portato alla perfezione, l’acqua diventa trasparente e l’uomo interiore, il massimo livello di coscienza, diventa perfettamente visibile.
E quando attraverso lo yoga si regolano i processi del pensiero, si rende manifesta la coscienza che cessa di essere nascosta e limitata; finché non si raggiunge questo stadio la coscienza si identifica con i pensieri.
La coscienza che nasce con l’individuo è pura e inizialmente non è minimamente condizionata dalla mente, poi, attraverso l’educazione e i condizionamenti sociali, religiosi e culturali, l’identità entra prepotentemente nella coscienza e si contamina.
Infatti Patanjali ritiene che l’individuo sia diverso dai suoi pensieri e l’unico modo per riuscire a vedere la luce della pura coscienza è quello di rimuovere tutti i veicoli con i quali essa si manifesta. Occorre costruire un processo inverso per cambiare questa modalità interiore: se riusciamo in questo intento la mente/l’ego/manas si assorbirà e si metterà al servizio della coscienza/citta.
“Ogni essere vivente ha sete di infinito”
Shrii Shrii Anandamurti
CHIUDERE GLI OCCHI
C’è un unico luogo in cui possiamo provare l’illimitata felicità che desideriamo. Il nucleo del nostro essere, la coscienza infinita.
La via che conduce alla felicità è dentro di noi; per percorre questa strada dobbiamo prima distogliere l’attenzione dal mondo esterno dei sensi.
La meditazione inizia col mettere da parte le nostre preoccupazioni quotidiane per accedere ad una dimensione più profonda, calma e vicina al nostro nucleo.
Certamente quando ci sediamo a meditare, i problemi di ogni giorno e tutto ciò che ci lega al mondo esterno sono i vincoli che tengono la nostra consapevolezza ormeggiata alla banchina dell’esistenza mondana: ci impediscono d’imbarcarci verso il mare aperto del nostro essere interiore.
Iniziamo quindi il nostro viaggio togliendo gli ormeggi ed escludendo il mondo esterno: questo primo passo si chiama “ritiro sensoriale” (pratyahara).
RITIRO DEI SENSI
I sensi collegano la mente al mondo fisico. Sono gli ingressi alla consapevolezza interiore che riceve, percepisce e comunica con l’esterno. I sensi regolano l’accesso di informazioni e di esperienze. Questo collegamento reso possibile da milioni di micro-reazioni chimiche all’interno del sistema nervoso centrale, converte le sensazioni fisiche in impulsi che vengono trasportati dalle cellule e dalle fibre nervose. Le cariche elettro-chimiche scattano come fulmini negli interstizi tra i neurotrasmettitori e i ricettori inviando segnali in entrambe le direzioni. Questa incessante attività elettrochimica mantiene la mente connessa con il mondo permettendogli di agire.
Quando arrestiamo il flusso degli stimoli sensoriali spesso sperimentiamo un senso di libertà e di pace.
Lo stress quotidiano è strettamente legato alla corrente di informazioni che riceviamo in continuazione dall’esterno. Quando tale collegamento si interrompe, anche solo per pochi istanti, proviamo un esilarante senso di leggerezza. All’improvviso le preoccupazioni svaniscono e ci sentiamo sollevati dalle tensioni associati agli stimoli provenienti dall’ambiente circostante.
Nel momento in cui avvertiamo il bisogno di entrare in contatto con noi stessi, automaticamente ci sentiamo spinti verso luoghi al riparo da bombardamento di informazioni che saturano la nostra vita quotidiana. Spesso troviamo nella pace e nella tranquillità della natura un modo semplice ma efficace per “rallentare il traffico” che entra attraverso le porte sensoriali.
Anche la meditazione inizia con il ritiro dei sensi, non li intorpidisce, tanto meno provoca danni a lungo termine. Il ritiro dei sensi si effettua calmando gli organi sensori e usando la visualizzazione, la concentrazione sul respiro e il mantra per indurre uno stato di concentrazione mentale e sospendere il suo collegamento con le porte sensoriali. Questa pratica rafforza e ci rende padroni del sistema nervoso.
LA POSIZIONE DEL CORPO
La posizione raccomandata durante la meditazione è chiamata la posizione del loto – padmasana.
Non tanto perché stando seduti in quel modo assomigliamo al fior di loto, quanto per le sue caratteristiche. La pianta del loto cresce nell’acqua fangosa e stagnate, eppure i suoi fiori sono tra i più belli al mondo. Pur meditando nel bel mezzo delle afflizioni e dell’acqua stagnate del mondo materiale, possiamo elevarci al di sopra di esso penetrando nella tranquillità di un luogo di indescrivibile bellezza.
PADMASANA
Per assumere la posizione del loto sedetevi come se dovesse incrociare le gambe e poi appoggiate il piede destro sulla coscia sinistra e quello sinistro sulla coscia destra. Raddrizzate la schiena e unite le mani sul grembo con le dita intrecciate o in Dhyana Mudra. Chiudete gli occhi e arricciate la lingua all’indietro contro il palato. Questa posizione è ideale per meditare perché mantiene la schiena eretta, favorisce la concentrazione e infonde calma mentale.
Posizioni alternative
Naturalmente molti trovano impossibile assumere la posizione del loto e quindi optano per la posizione del mezzo loto, nella quale la gamba destra è appoggiata su quella sinistra, o si siedono in Siddhasana o a gambe incrociate – Svastikasana.
Le posizioni alternative offrono quasi gli stessi benefici. Se la posizione a gambe incrociate dovesse risultare scomoda, usate un cuscino abbastanza grande da permettervi di stare seduti in modo confortevole con la schiena diritta. Se anche questo non fosse possibile, meditate stando seduti su una sedia. Comunque occorre evitare di costringere il copro a stare in una posizione scomoda.
Perché sedersi in queste posizioni?
Sedersi nella posizione del loto porta la mente a concentrarsi sullo spazio sacro della propria interiorità. In questa posizione, e nelle posizioni alternative, gli organi sensori e motori diventano automaticamente meno attivi.
Chiudiamo gli occhi e così escludiamo la componente visiva. Scegliamo un posto tranquillo per non essere distratti dai suoni. Intrecciando le mani e incrociando le gambe evitiamo di usare il tatto, come una tartaruga ritirata dentro il suo guscio. Arrotolare la lingua e spingerla contro il palato disattiva le papille gustative. Se abbiamo scelto un luogo adatto per meditare nessun odore ci disturberà.
Rimanere semplicemente seduti, fermi in questa posizione è, di per sé, una potente forma di ritiro dei sensi.
Liberando la mente dall’attività dei sensi, la scolleghiamo dal mondo esterno e ci diamo la possibilità di tuffarci in profondità all’interno. Mantenere il corpo immobile calma la mente.
Quando chiudiamo le porte sensoriali abbiamo l’opportunità di esplorare ciò che sta oltre.
Restare seduti in meditazione, immobili e con la spina dorsale dritta è una tecnica semplice ma non così facile come può sembrare.
Inizialmente, infatti, la maggior parte delle persone la trova difficile. Né il corpo né la mente vi sono abituati ed entrambi potrebbero insorgere e opporre una strenua resistenza. Eppure, perseverando, possiamo abituarci e a restare tranquillamente raccolti in questa posizione per un lungo tempo. Una volta raggiunto questo obiettivo, sperimentiamo il potere di queste semplici tecniche per calmare la mente e sostenere il nostro progresso interiore.
Certamente mantenere la spina dorsale diritta e il corpo fermo può essere impegnativo ma restituisce alla mente l’energia usata per “decollare”. La posizione eretta della schiena aumenta il flusso di sangue verso il cervello, un aspetto molto importante durante la meditazione, e favorisce la respirazione profonda che migliora l’ossigenazione del sangue.
La posizione eretta della schiena stimola la sottile energia vitale presente nel corpo, nota come “chi” o “ki” in Cina e in Giappone, “Prana” in India, a risalire lungo la colonna vertebrale durante la meditazione.
Continueremo nel prossimo articolo…………… Per ora iniziamo a fare i primi passi nella meditazione!